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La positivita’ tossica

 

Roma 8 ottobre 2021

A cura del dott.Marco Salerno

 

 

“Andrà tutto bene” e’ la frase più diffusa da quando e’ iniziata la pandemia, la troviamo su cartelli, lenzuola, la ascoltiamo dalle persone che incontriamo pur di sentirci rassicurati e per calmare l’ansia di fronte ad un futuro incerto. Sembra impensabile ma anche una semplice frase come questa può avere una ricaduta negativa sulle persone poiché diventa un obbligo a provare per forza emozioni positive evitando tutto quello che genera una condizione emotiva di difficile tolleranza. Quando siamo costretti ad avere a tutti i costi un pensiero positivo, indipendentemente da quello che proviamo, si parla di positività tossica. Con il termine positività tossica ci si riferisce ad un atteggiamento eccessivamente positivo, che nega ogni emozione non classificabile come positiva. È la convinzione che se ignoriamo le emozioni difficili e  le parti della nostra vita che non funzionano, saremo molto più felici. La positività tossica e’ pericolosa perché e’ uno stato di negazione della realtà e ci costringe a reprimere le nostre autentiche emozioni.

Viviamo immersi in un clima dove l’essere felici e pieni di speranza ad ogni costo e’ un obbligo, basta navigare su social network come facebook ed istagram per rendersi conto del proliferare di personaggi che invitano a vedere tutte le esperienze in chiave positiva, a darsi obiettivi, a superare i propri limiti fino ad affermare che e’ possibile scegliere se vivere emozioni positive o crogiolarsi in quelle definite negative. Insomma non e’ concesso essere tristi, e’ sinonimo di inadeguatezza ed e’ una scelta come se le emozioni fossero prodotti da scegliere sullo scaffale di un supermercato.

In realtà tutte le emozioni hanno un valore e una finalità adattiva, per cui dipende dall’”uso” che ne facciamo, se ci crogioliamo in esso o se, dopo averlo provato, diventa uno strumento per capire meglio noi stessi e per metterci in gioco. Le emozioni ignorate o travestite da un abito di positività diventano disfunzionali, generando una positività tossica che ci confonde  e mina la nostra serenità’. Ogni emozione come la rabbia, il dolore, l’invidia va vissuta ed espressa, bisogna attraversarla perché e’ l’unico modo per non evitarla ed ingigantirla. Scomodando Freud e il suo inconscio, tutto quello che evitiamo e rimuoviamo, rientra nella nostra vita sotto forma di sintomi, per cui non possiamo mai fuggire da noi stessi. Inoltre la positività tossica o toxic positivity, tema approfondito da Stephanie Preston, professoressa di psicologia presso l’università’ del Michingan, e’ una condizione che richiede di essere per forza positivi, alimenta il senso di colpa nell’esprimere le preoccupazioni e le paure, diventando uno stato invalidante poiché  sopprimere il  dolore con dichiarazioni oltre modo felici non è d’aiuto ma  disadattivo.

Al tema di essere positivi a tutti i costi se ne aggiunge un altro molto in voga in questo periodo storico che e’ quello di mostrare di non avere mai o poco tempo libero ed essere sempre indaffarati. Facebook ed istagram sono vetrine in cui le persone pubblicano foto mentre lavorano sorridenti insieme ai colleghi ad orario degni della schiavitù, non a caso e’ stato chiamato in causa Confucio e la sua massima “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita “.

Lo psicologo Jaime Zuckerman sostiene  che la pressione a essere sempre  produttivi sia una forma di positività tossica come anche il misurarsi con attività nuove o con improbabili sfide fine a se stesse. Zuckerman sostiene che si deve evitare di riempire continuamente la vita di attività nuove, nella vana speranza che ci facciano sentire meglio. Anche in questo caso la fantasia che fare qualcosa di nuovo e sfidante risolva i problemi e ci aiuti ad acquisire fiducia in noi e’ dannosa poiché ci fa scontrare spesso con l’impossibilita’ di raggiungere obiettivi irrealistici.  Zuckerman sostiene che l’evitare il disagio, sostituirlo con fantasie di rinascita o vibrazioni positive e’ dannoso per la salute mentale poiché il dolore va affrontato e non aggirato o rimosso. Piuttosto che essere positivi a tutti i costi e stemperare le emozioni negative, fornendo ricette preconfezionate per raggiungere la felicità,  e’ più indicato ascoltare ed accogliere senza giudizi tutte le emozioni. Se si vuole aiutare sul serio una persona e’ meglio dirle che siamo con lui piuttosto che affermare che andrà tutto bene quando non e’ vero, perché la vicinanza, l’ascolto e l’affetto autentico e’ un dono impagabile che nessuna ricetta può sostituire. E’molto più utile insegnare alle persone ad identificare le emozioni che provano, affrontandole ed elaborandole, piuttosto che sostituirle con la una forzata positività poiché ogni emozione ha valore e deve essere riconosciuta ed espressa.

Guarire dalla relazione con un narcisista

 

Roma 4 ottobre 2021

A cura del dott.Marco Salerno

 

 

Chi vive una relazione con un narcisista e’ esposto per un periodo più o meno lungo ad una alternanza di traumi continui e di speranze di cambiamento sistematicamente deluse. Essere esposti al contatto con un narcisista comporta sviluppare una tensione interna continua dovuta al fatto di essere continuamente in allerta per paura di ricevere un nuovo attacco che può essere costituito da una critica, da una svalutazione, da vessazioni emotive o fisiche, fino a sviluppare una condizione emotiva ed affettiva definita trauma complesso. Tale condizione e’ costituita dai seguenti cinque sintomi:

 

  • flashback emotivi: sono emozioni che compaiono improvvisamente, collegate ad un evento traumatico passato di cui al momento non si ricorda il contenuto. Si avvertono emozioni forti e travolgenti del tutto inaspettate e non collegate alla situazione che si vive in quel momento, per cui sono emozioni difficili da inquadrare. Per esempio, si può vivere uno stato di ansia improvviso, un attacco di panico pur non avendo alcuna condizione esterna che ne spieghi l’origine o anche reagire con rabbia ingiustificata alla situazione che si vive al momento. Quando si riesce a risalire alla questione che origina tale ondata emotiva o flashback emotivo, i sintomi tendono ad attenuarsi o a scomparire del tuttoL’origine dei flash back emotivi risiede nel meccanismo di separazione tra l’emozione provata durante un abuso narcisistico e il vissuto dell’abuso durante il quale si allontana l’emozione dolorosa vissuta dall’evento violento che si vive. Questo comporta che le emozioni passate non siano state elaborate ma devono essere ancora riconosciute e superate. Il modo più indicato per limitare i flashback emotivi e’  cercare di accettare e ricollegare le emozioni emerse all’evento durante le quali si sono verificate per poi elaborarne il vissuto.
  • vergogna patologica: questo sintomo consiste nel provare forte imbarazzo non tanto per qualcosa che si è fatto, come nel caso della vergogna sana, ma per come si è, come se ci fosse qualcosa che non va nella propria persona e nel modo di essere e non di agire. Le conseguenze della vergogna patologica sono un cronico senso di inutilità, bassa autostima, odio verso sé stessi e la convinzione di essere una persona cattiva e colpevole. Questo sintomo si manifesta con il rimuginare spesso su ricordi traumatici del passato che hanno determinato vergogna, una forte diffidenza verso gli altri aspettandosi sempre che facciano qualcosa di male e la sensazione di bassa autostima e di non meritare nulla dovendosi accontentare sempre. La vergogna patologica ha un significativo impatto sull’immagine e il valore di sé, influenza l’insieme di credenze e di convinzioni che si hanno sulla propria persona e che orientano le azioni della propria vita.

 

  • auto-abbandono: consiste nel non perseguire una passione o un desiderio poiché quando la si esprime è accolta da una critica svalutante e distruttiva. Pur di non esporsi a queste situazioni, la persona che sta con il narcisista preferisce abbandonare ogni tentativo di realizzare i propri obiettivi. La conseguenza e’ che si tende a dire di si quando invece si vorrebbe dire di no e non si esprime quello che si pensa e si prova realmente. A questo si accompagna una forte dose di adattamento solo per accontentare l’altro e mettere da parte se stessi fino al punto di consentire di essere maltrattati e criticati per ogni decisione che si vuole prendere. La conseguenza ultima è che si sviluppa una condizione di paura permanente delle reazioni del partner narcisista ogni qual volta si vuole esprimere il proprio punto di vista o fare una scelta fino ad arrivare a credere che la “colpa” di queste reazioni sia la propria. Per affrontare questa condizione è indispensabile iniziare a porsi delle domande come, per esempio, cosa si ha paura di perdere se si persegue un desiderio o un bisogno e perché lo si mette sempre al secondo posto. La risposta a questa domanda la si può trovare solo prendendo contatto con sé stessi e chiedendosi come ci si sente. Questo comporta spostare l’attenzione dal partner narcisista dalle sue reazioni a sé stessi e al domandarsi quali sono i propri pensieri ed emozioni.  All’inizio non è semplice avviare questo processo ma è indispensabile e deve essere affrontato come un vero esercizio giornaliero che ha come obiettivo quello di prestare attenzione a tutto ciò che e’ importante per sé e che viene sempre accantonato in favore del partner.

 

  • critica interiore: chi ha una relazione di lungo corso con un partner narcisista o ha avuto un genitore narcisista, ha sviluppato una forte voce critica interiore che coincide con una feroce autocritica per ogni azione compiuta o emozione provata. Questa voce critica interiore non riguarda una situazione specifica ma e’ generalizzata a tutta la propria esistenza. Esistono diversi tipi di voci critiche interiori tra cui quella del perfezionista secondo cui si deve essere sempre perfetti e non sbagliare mai altrimenti non si sarà mai voluti bene o apprezzati. La conseguenza di questa voce potrebbe essere che per paura di non fare perfettamente qualcosa, si rinuncia a farla. Un’altra voce critica e’ quella del formatore che vuole modellare la persona in base alle aspettative dell’altro, rinunciando ai propri desideri. L’accusatore e’  una delle voci critiche ricorrenti che ha lo scopo di svalutare la persona e non solo i suoi desideri facendola sentire colpevole di tutto ciò che la circonda. Lo schiavista invece e’ quella voce critica che impone di non fermarsi mai, di fare sempre qualcosa poiché il riposo non e’ consentito se si vuole essere accettati. Il supervisore invece e’ quella voce interiore che monitora ed osserva ogni azione ed intenzione e ha lo scopo di prevenire le critiche del narcisista e controlla ogni aspetto della vita della vittima.Per affrontare queste voci critiche e’ indispensabile riconoscerle e domandarsi quale funzione hanno nella propria vita. Accettarle e’ il primo passo per smettere di agire compulsivamente, chiedersi quali sono le paure nel non seguirle più ma, soprattutto, creare un dialogo interiore che aiuti a chiedersi come e cosa si vorrebbe rispondere alla voce critica, come se fosse una persona in carne ed ossa di fronte a sé
  • ansia sociale: si manifesta quando ci si relaziona con altre persone sia in incontri individuali sia di gruppo, con persone conosciute o sconosciute. La paura di chi soffre di ansia sociale è riconducibile al fatto di non comprendere perché’ altre persone dovrebbero essere interessate a lui. Si crede che ogni pensiero o idea che si ha sia inutile e insignificante, arrivando a sentirsi a volte non degni della situazione o delle persone vicine. Inoltre è presente anche l’idea che gli altri siano sempre pronti al giudizio verso la propria persona e che abbiano ragione. L’ansia sociale si manifesta con sintomi ben precisi tra cui una forte tensione che pervade tutto il corpo, la voce trema, sensazioni di calore, respiro corto, nebbia mentale, sudorazione, incapacità di pensare e di trovare le parole.

Il trauma complesso che deriva dal rapporto con un narcisista può essere affrontato attraverso la comprensione e l’accettazione della situazione, la consapevolezza di poter scegliere e di non essere la causa del fallimento della relazione o delle reazioni del partner. Ma soprattutto e’ fondamentale comprendere che il partner narcisista e’  una persona malata, incapace di controllare le proprie azioni e di valutarne le conseguenze a causa di una mancanza di empatia. Questo passo è molto importante poiché’ aiuta a ridimensionare notevolmente le aspettative di guarigione del partner e a collocarlo in una categoria diagnostica.  Successivamente  bisogna riappropriarsi dei propri pensieri ed emozioni, uscire dal ruolo della vittima consapevoli del fatto che un partner narcisista ha trovato terreno emotivamente fertile nell’altro per stabilire una relazione. Questo aiuta ad uscire dalla dinamica della ricerca del colpevole e a iniziare a comprendere quali tratti e aspetti della propria persona hanno contribuito ad alimentare la relazione con un narcisista. Solo attraverso questo processo di consapevolezza e di assunzione di responsabilità si evita in futuro di ricadere in una relazione tossica e si impara a scegliere chi si vuole avere accanto a sé.

Gli effetti di genitori narcisisti sulla vita dei figli adulti

Roma 23 settembre 2021

A cura del dott. Marco Salerno

 

Un figlio/a che nasce e cresce con uno o con entrambi i genitori narcisisti sperimenta costantemente una profonda paura dell’abbandono emotivo poiché un genitore narcisista e’  solamente in grado (non sempre) di garantire la sopravvivenza di un figlio ma non di provvedere ai suoi bisogni emotivi ed affettivi. Non essendo in grado di educare un figlio/a a prendersi cura di sé, quando questo sarà adulto presenterà significative difficoltà nel rilevare i propri bisogni e cercherà in ogni modo di soddisfare i bisogni altrui mettendo da parte i propri, Questo quadro si delinea in modo più dettagliato se si osservano le lacune affettive che i figli di genitori narcisisti presentano a causa dell’abuso subito e perpetrato su loro dalla nascita alla vita adulta.

Uno dei deficit maggiormente presenti nei figli di genitori narcisisti e’ la tendenza ad ignorare i propri bisogni e desideri che affonda le radici nel rapporto con una madre o un padre narcisista i quali hanno sempre bisogno di attenzioni e manipolano gli altri in funzione dell’appagamento delle loro necessità. La ricaduta di questo comportamento e’ che i figli crescono con il bisogno di compiacere il genitore narcisista per ricevere in cambio accadimento ed attenzione. Tale dinamica relazionale si traduce nella mente del figlio con l’adagio secondo cui “vengo amato se faccio di tutto per soddisfare quello che mi chiedi”, per cui i figli non imparano mai a percepirsi come individui degni di attenzione ma diventano il riflesso di ciò che la madre si aspetta da loro.  La madre li premia solo se raggiungono determinati risultati e solo dopo averli conseguiti sono meritevoli di affetto, per cui diventano adulti sempre sintonizzati sui bisogni altrui e mancanti di consapevolezza dei propri.

 

Un genitore narcisista manifesta affetto ai figli quando richiede qualcosa in cambio da loro, li mette costantemente alla prova per soddisfare le sue aspettative le quali, quando non sono appagate li fa non degni di amore. Da adulti questi figli si sentono costantemente inadeguati, incapaci, colpevoli e con bassa autostima. La conseguenza e’ che non sviluppano le “competenze emotive” per amare se stessi e per accettarsi come sono, per cui non sono a loro agio nella propria pelle poiché nessun obiettivo raggiunto per quanto grande sia, placa il senso di inadeguatezza ed insoddisfazione.

 

I figli di un genitore narcisista sviluppano la tendenza ad essere sempre al servizio di chi sta loro vicino (amici, partner, colleghi, capi) per risolvere i loro problemi, soddisfare i suoi bisogni e occuparsi di renderlo felice. Sono dei veri assistenti personali, coinvolti in situazioni che non competono loro sin dall’infanzia, si assumono responsabilità e diventano bambini adultizzati, più simili ad un partner che ad un figlio/a. Sono adulti con notevoli doti di problem solving, ipersensibilizzati ad intercettare i bisogni altrui ma completamente incapaci a considerare le proprie necessità. Il figlio di un genitore narcisista inoltre e’ sottoposto al “trattamento della negatività” poiché riceve continuamente messaggi negativi per qualunque scelta faccia. Questo determina a volte una condizione definita “effetto specchio” secondo cui i messaggi negativi che i figli interiorizzano vengono a loro volta proiettati sulla realtà e sulle persone loro vicine.

L’effetto più drammatico di una relazione con un genitore narcisista e’ che il bambino nega completamente la propria identità, i bisogni e desideri al fine di mostrarsi come la madre si aspetta da loro. Quando sono adulti mostrano rilevanti difficoltà a riconoscersi, a comprendere cosa vogliono veramente da se stessi e dagli altri, oltre ad avere una notevole resistenza a sintonizzarsi sui propri stati emotivi.

Per quanto possano raggiungere obiettivi alti durante la loro vita, i figli di un genitore narcisista porta  sempre con sé il messaggio che non sono abbastanza bravi o all’altezza delle situazioni. La conseguenza e’ che queste persone si aspettano sempre   il peggio  dalla loro vita. Alcuni di loro tendono a non “osare” ad esplorare nuove esperienze, non esprimono mai le proprie emozioni, chiedono il permesso di esistere, alimentando un circolo di ansia ed insicurezza che condiziona la loro esistenza.

 

 

Ritratto di un narcisista

Il narcisismo è un aspetto della personalità che si snoda lungo un continuum, ad un estremo sono presenti i tratti narcisistici sani che coincidono con un equilibrato amor proprio, all’altro invece troviamo il disturbo narcisistico di personalità che coincide con una percezione grandiosa di se e una totale mancanza di empatia. Il narcisista è una persona profondamente convinta che i suoi interessi, le sue priorità e opinioni più importanti di quelle di chiunque altro, pur sembrando a volte in pubblico pacato e compassato, in privato assume un atteggiamento prevaricante ed egocentrico. Vive spesso in un mondo immaginario, popolato da fantasie di successo e di amore illimitato ma non si mette in gioco per realizzarle. Crede di essere unico e speciale, solo persone altrettanto speciali possono comprenderlo. Ha continuamente bisogno di essere ammirato e non riesce ad ascoltare attentamente i  discorsi di chi lo circonda perché ha bisogno di stare sempre al centro dell’attenzione. Il sentirsi su un piano diverso rispetto alle persone comuni fa credere al narcisista che il rispetto delle regole, l’impegnarsi e il mettersi in gioco in prima persona non lo riguarda poiché lui è al di sopra di queste cose da cui si sente esentato. Tende a sfruttare le persone senza provare alcun senso di colpa o rimorso e adotta spesso un atteggiamento manipolatorio dal quale cerca di trarre il massimo beneficio con il minimo sforzo. Incapace di provare empatia, è chiuso nel suo delirio di grandiosità, mostra una attenzione superficiale all’inizio delle relazioni per poi provare un totale interesse.

Come riconoscere un narcisista

Roma 10 febbraio 2014

A cura del Dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta a Roma

Il narcisismo è un aspetto della personalità che si snoda lungo un continuum, ad un estremo sono presenti i tratti narcisistici sani che coincidono con un equilibrato amor proprio, all’altro invece troviamo il disturbo narcisistico di personalità che coincide con una percezione grandiosa di se e una totale mancanza di empatia. Il narcisista è una persona profondamente convinta che i suoi interessi, le sue priorità e opinioni sono più importanti di quelle di chiunque altro, pur sembrando a volte in pubblico pacato e compassato, in privato assume un atteggiamento prevaricante ed egocentrico. Vive spesso in un mondo immaginario, popolato da fantasie di successo e di amore illimitato ma non si mette in gioco per realizzarle. Crede di essere unico e speciale, solo persone altrettanto speciali possono comprenderlo. Ha continuamente bisogno di essere ammirato e non riesce ad ascoltare attentamente i  discorsi di chi lo circonda perché ha bisogno di stare sempre al centro dell’attenzione. Il sentirsi su un piano diverso rispetto alle persone comuni fa credere al narcisista che il rispetto delle regole, l’impegnarsi e il mettersi in gioco in prima persona non lo riguarda poiché lui è al di sopra di queste cose da cui si sente esentato. Tende a sfruttare le persone senza provare alcun senso di colpa o rimorso e adotta spesso un atteggiamento manipolatorio dal quale cerca di trarre il massimo beneficio con il minimo sforzo. Incapace di provare empatia, è chiuso nel suo delirio di grandiosità, mostra una attenzione superficiale all’inizio delle relazioni per poi provare un totale disinteresse.

L’altruista compulsivo

Roma 30 gennaio 2014

A cura del Dott. Marco Salerno

In un periodo storico in cui l’individualismo è diventato sempre più difficile da arginare, il dare e il ricevere hanno trovato nuovi equilibri e modi di esistere. Un eccesso di altruismo a volte cela una profonda difficoltà nel ricevere amore, complimenti e nel sentirsi accolto per cui è più sicuro  dare per primo pur di non vivere la profonda paura di rimanere “a mani vuote”. In altre parole alcune persone non si sentono all’altezza di ricevere un riconoscimento del loro valore da parte di un altra persona e non riconoscono che anche loro desiderano instaurare un rapporto intimo di amicizia, di coppia, un contatto autentico che non li faccia sentire soli e svuotati dando sempre e non ricevendo mai.  Spesso l’altruista compulsivo è il primo ad offrire  il proprio aiuto in modo indistinto non valutando le condizioni e le motivazioni che lo spingono ad agire.

Lo psicologo J. Amodeo ha rintracciato cinque differenti cause alla base dell’altruismo compulsivo:

1) Difesa dall’intimità: ricevere implica la creazione di un contatto profondo con un’altra persona che vuole regalarci un abbraccio, un complimento, un gesto con cui esprimere il suo desiderio di avvicinarsi a noi. La paura dell’intimità costituisce una barriera protettiva disfunzionale che  impedisce di creare un punto di incontro con l’altro, accettando la sua presenza nella propria sfera intima.

2) Mantenere il controllo: dare senza ricevere consente di mantenere il controllo sulle relazioni e di evitare di mettersi in gioco nella dinamica relazionale. Uno degli effetti più gravi che l’altruismo compulsivo può determinare è quello di non riuscire più a distinguere se siamo disponibili a dare perché mossi da un autentico sentimento di generosità o perché prigionieri di un circolo vizioso che ci protegge dal contatto.

3) Paura di sentirsi in obbligo: la paura di ricevere può essere anche ricondotta ad una condizione  passata in cui si è ricevuto un riconoscimento o un complimento solo dopo aver conseguito un risultato. Questo significa che il compiacere le persone affettivamente significative era l’unico modo per essere amati e che la percezione di quello che siamo è determinata da quello che facciamo. In quest’ottica il ricevere corrisponde a sentirsi osservati e valutati e fa sentire sempre sotto esame e mai al sicuro.

4) Equiparare il ricevere all’essere egoisti : i condizionamenti culturali e religiosi e una cultura romantica molto in voga hanno definito un quadro relazionale nel quale dare è considerato un gesto più accettabile che ricevere. Inoltre il narcisismo dilagante che mette al centro della vita l’esistenza assoluta del singolo ma non tiene in considerazione il contesto sociale di appartenenza, ha creato una sorta di stigma verso chi persegue in modo sano la propria autorealizzazione anche attraverso il ricevere un riconoscimento. Sfortunatamente si trascura il fatto che vi è anche un narcisismo sano che è alla base della creazione del benessere individuale che consente di assaporare i piaceri della vita senza calpestare o escludere il contesto di riferimento. Alternare dare e ricevere è un modo maturo e consapevole per stabilire una relazione sana e appagante con un altro individuo, consente di mantenere una condizione di equilibrio e allo stesso tempo di nutrirsi affettivamente.

5) Non ricevere per evitare di contraccambiare : il timore di ricevere può celare la paura di sentirsi in debito rispetto ad un complimento ricevuto o ad una cortesia fatta senza alcuno scopo se non quello di dare piacere. Si assume che dietro ogni gesto possa esservi sempre un secondo fine come se le relazioni umane fossero regolate dal principio della manipolazione e del controllo.

Secondo lo psicologo J. Amodeo la reciprocità di uno scambio avviene quando non vi è alcuna distinzione tra il dare e l’avere poiché entrambi i membri della relazione danno e ricevono in modo unico ed è proprio questo che rende uno scambio profondo e intimo.

J. Amodeo Dancing with the fire: a mindufl way to living relationships, Quest Books 2013

Il senso di colpa

Roma 12 novembre 2013

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta umanistico integrato a Roma

Perche’ ci sono alcune persone con cui ci sentiamo incapaci di rispondere, di fronte alle quali tutto il discorso che avevamo in mente si dissolve appena sentiamo le loro parole? Perche’ con loro proviamo un forte senso di colpa? La risposta e’ semplice, sono abili ricattatori. Sembrano persone innocue, bisognose di affetto al primo impatto ma appena viene negato loro quello che chiedono, diventano minacciose e distruttive. Le loro relazioni si caratterizzano per l’incapacita’ di tollerare la rabbia e la frustrazione e per un atteggiamento di remissivita’ che la vittima adotta per mantenere la pace. Arrendersi e andare incontro ai suoi bisogni crea l’illusione che il ricattatore capira’, che arrivera’ il momento in ci si rendera’ conto di cosa sta facendo. Sfortunatamente questa consapevolezza non matura mai poiche’ il ricattatore agisce sempre a spese di un altro. L’elemento su cui fa leva e’ il ricatto morale secondo cui minaccia in modo piu’ o meno velato di punire il proprio interlocutore se non esaudisce ogni suo desiderio. La frase che riassume il nucleo di questa dinamica e’: “se non fai quello che ti chiedo, ti puniro’ prima o poi”. Le leve che un ricattatore aziona sono quelle affettive, che colpiscono li dove siamo piu’ vulnerabili, sottraendoci amore e sostegno, facendoci sentire in colpa perche’ etichettati come egoisti. I tre strumenti a cui un ricattatore ricorre sono la paura, il senso del dovere e il senso di colpa. Secondo la psicologa S. Forward, siamo ostaggi di un ricattatore affettivo se rispondiamo affermativamente ad una sola delle seguenti domande:

Personalità e strategie del manipolatore perverso

17 ottobre 2013

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta umanistico integrato a Roma

I manipolatori perversi sono uomini e donne che hanno come obiettivo più o meno consapevole quello di agire attraverso la manipolazione e il raggiro per far compiere al proprio interlocutore delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale. Ogni relazione che vivono deve sottostare alle loro condizioni e rispettare le loro richieste. L’indizio di trovarci di fronte ad un manipolatore perverso è la sensazione di soffocamento che proviamo quando ci rapportiamo a lui, dovuta alla presenza costante di critiche, insinuazioni, sarcasmo che hanno come scopo finale quello di distruggere l’autostima fino a indurre una incapacità di vivere adeguatamente la propria vita. Avrete l’impressione che godrà nell’umiliarvi e che non vorrà mai mettersi in discussione poichè non accetta alcuna critica ma preferisce criticare  e accusare piuttosto che confrontarsi in modo adulto. Il gancio che vi terrà legata a lui è  che a volte vi darà l’impressione di amarvi pur non provando alcun sentimento e trattandovi male, siete solo lo specchio in cui si riflette.
P.Chapaux-Morelli e P. Couderc sostengono che un certo grado di  manipolazione è presente in ogni relazione mentre per il manipolatore perverso, la manipolazione costituisce il perno di ogni sua interazione. È proprio la continuità nel tempo che conferisce alla manipolazione la caratteristica di perversione, poiché è l’unica modalità conosciuta per entrare in contatto con le persone.

Identikit del manipolatore affettivo

Roma 9 ottobre 2013

A cura del dott. Marco Salerno, psicologo psicoterapeuta umanistico integrato a Roma

Il manipolatore affettivo è una personalità patologica che si nutre della vitalità e delle emozione delle sue vittime. Le svuota gradualmente di ogni energia fino a farle sentire sbagliate e oppresse dopo aver perpetrato azioni continue di disprezzo, di critica, di ricatti alternandoli a momenti caratterizzati da un forte desiderio di relazione, ricercati solo quando gli sono utili. Tende a passare per vittima e ad attribuire sempre la causa dei suoi errori ad altri, senza mai assumersene la responsabilità. Nelle discussioni non accetta il rifiuto e vuole avere l’ultima parola  a costo di cambiare repentinamente opinione e di mentire per deformare la realtà a suo uso e consumo. I manipolatori non sono tutti uguali, adottano strategie e comportamenti diversi a seconda del loro carattere:

1) manipolatore simpatico: appare come una persona a suo agio con se stessa e con gli altri, la sua comunicazione è fluida e spigliata, è estroverso e socievole, di bell’aspetto e cerca di entrare subito in intimità facendo confidenze e complimenti alla propria preda. Il suo obiettivo è di chiedere piccoli favori in un clima di pseudo fiducia e complicità dopo avervi fatto qualche regalo o ascoltato. La manipolazione inizia a venire a galla quando la vittima si rende conto che nella relazione c’è posto solo per lui e per i suoi bisogni, dal momento in cui questi non saranno corrisposti interromperà ogni genere di contatto.