Roma 25 novembre 2022

A cura del dott. Marco Salerno

 

Immaginate un palcoscenico, appena svelato da un sipario che si è alzato
lentamente: si accendono le luci, o meglio una sola luce che illumina un solo
attore, mentre nella penombra alle sue spalle s’intravedono delle figure ancora
non identificabili.
Confuso nel pubblico c’è uno spettatore o una spettatrice che non sa ancora
cosa l’attende: entrando e prendendo posto in platea, ha controllato varie volte
quale fosse il posto assegnatole, si è scusata timorosa con i vicini già
accomodatisi per aver arrecato loro disturbo nel tentativo di raggiungere la
propria poltrona.
Inizia lo spettacolo e, improvvisamente, inaspettatamente, una luce si va ad
appuntare proprio su quella spettatrice (o spettatore), mentre il protagonista
l’invita a salire sul palco e…

E questo è il teatro del narcisista, attore monologante (o quasi) della
propria messinscena, che vuole che il cono di luce inondi lui e lui soltanto, e che
nel teatro del mondo, nel vasto pubblico che rappresenta il suo nutrimento
vitale, ha identificato con vampiresco istinto, la sua vittima designata, colui o
colei che, almeno per la durata di una rappresentazione, sarà il suo necessario e
martirizzato contraltare.
La commedia, o sarebbe meglio dire la tragedia, si compone di vari atti (se fosse
una partitura sinfonica potremmo parlare di movimenti).
Il primo, per rimanere in una metafora musicale, sarebbe un allegro con brio, se
non con fuoco, venato di setose dolcezze da minuetto, inframmezzato con
languori romantici da adagio ottocentesco.
E sì, perché il narcisista, per convincere l’ignara vittima a restare sul
palcoscenico della sua recita, la irretisce con sapienti arti affabulatorie e
seduttive, dopo averne carpito abilmente i segreti che portano alle sue
debolezze.
Di certo una vittima ideale del soggetto affetto da questo disturbo della
personalità è rappresentata da chi, in genere sin dall’infanzia, ha sofferto di
insicurezza, dovuta spesso a sua volta a carenze affettive, che hanno
ingenerato un affannoso bisogno di validazioni e conferme da parte degli altri.
Ecco allora che il narcisista, con tutto il vasto armamentario dell’adulatore
professionista che possiede, sposta quella luce, che vorrebbe sempre appuntata

su di sé, sull’altro, che per la prima volta in vita sua si sente messo al centro
dell’attenzione e viene da quella luce inattesa letteralmente accecato, perdendo
ogni controllo.
A quel punto, una volta irretita la vittima, il narcisista dà inizio al secondo
atto: l’isolamento.
Tutte quegli attori che erano nella penombra della scena all’inizio, e che
potevano entrare per trarre in salvo la vittima del protagonista, lentamente
vengono fatti scomparire, ingoiati nel buio delle quinte e relegati nemmeno a
comparse, ma a scomparsi.
Il narcisista non può permettere che la sua vittima si rivolga a qualcuno della
propria cerchia familiare, amicale o in senso lato relazionale, che potrebbe aver
intuito il gioco letale in cui è entrata (ancora a sua insaputa) e rovinare i piani di
manipolazione che successivamente annienteranno del tutto la malcapitata.
Anche in questo caso, vittima ideale del narcisista sarà chi di amici, relazioni,
parenti salvifici ne ha pochi o, meglio ancora, nessuno.
Chi è solo al mondo (salvo gli asceti e gli eremiti per scelta, ovviamente) per
forza di cose sarà ancor più fragile e bisognoso di attenzioni, anche qualora
arrivassero dal cosiddetto “primo che capita”.
E qualora dovesse imbattersi per primo in un individuo tossico e pericoloso,
qual è il narcisista, non avrà scampo.
Ma vittime designate saranno anche coloro che al confronto, diciamo pure al
conflitto, preferiscono di gran lunga la rinuncia alla lotta, che in questa
propensione cronica ad evitare di contraddire il prossimo trovano una sorta di
conforto.
Oppure coloro che, come missione nella vita, si sono riproposti di compiacere il
prossimo, di soddisfare le richieste di chiunque, insomma una disponibilità che
sconfina con l’asservimento patologico.
Ecco, sembra quasi di poterli vedere, tutti in fila al botteghino, per sedersi in
prima fila allo spettacolo del narcisista, pronti ad essere divorati dalla sua
insaziabile brama di dominio e controllo, che si faranno vieppiù asfissianti.
Ad ogni modo, il narcisista vuole che la propria vittima dipenda in toto da lui (o
lei che sia), che lo percepisca come unica fonte di verità, di autentica
interpretazione della realtà.
Ed è anche e soprattutto per tale ragione che il terzo atto della tragedia è
caratterizzato da un autentico spirito manipolativo e abusante: siamo nella
fase del condizionamento.
Il narcisista, dopo aver concimato con cura il terreno della finta adulazione
romantica, inizia ad un certo punto a gettarvi non più semi, ma pietre, agenti
inquinanti.
Sempre con astuzia, però, non dandolo immediatamente a vedere.

La tecnica manipolatoria del narcisista consiste essenzialmente nel confondere le
acque (e con ciò anche la mente e le convinzione della propria vittima).
Menzogne, negazioni, proiezioni della propria follia sull’altro, ribaltamento
sfacciato della realtà: farà di tutto per indurre l’altro (o altra) all’impazzimento.
Anzitutto perché ne gode, immensamente. E poi perché ciò indebolisce il
partner del narcisista, l’induce a credere di essere la fonte dell’infelicità della
coppia.

Ma come, prima mi adorava, mi considerava la persona migliore del mondo,
finalmente c’era qualcuno che mi considerava non solo degno (degna) di amore
sconfinato, e ora?
La risposta che la vittima, già spesso insicura di sé, come abbiamo detto, dà a sé
stessa, è che la causa non può che essere qualcosa di sbagliato che è in lei, che è
lei ad aver attuato, pur non volendolo assolutamente.
Allora, pur di non perdere quello che è diventato il principale (se non l’unico)
punto di riferimento della propria vita, si convince che le distorsioni della realtà
messe in atto dal suo aguzzino, non siano tali, bensì l’esatta e reale
rappresentazione di come stanno le cose.
A quel punto il gioco è fatto: il narcisista ha la vittima nelle proprie mani, può
farne davvero ciò che vuole.
L’accettazione del fatto che la corretta visione del mondo sia quella proposta dal
narcisista è come la consegna delle chiavi della città all’assediante da parte
dell’assediato sconfitto.
Può così iniziare l’atto finale: quello della completa dominazione,
sottomissione, annientamento, distruzione della vittima, fino a che il
narcisista non se ne stancherà e non si metterà alla ricerca di un’altra, da
spolpare viva.
Perché alla lunga il narcisista si annoia del controllo totale che ha guadagnato
sull’altro, necessita di nuovi stimoli per rafforzare e rinnovare l’immagine
distorta che ha di sé, di invincibile conquistatore, che nessuno può mai osare
mettere in discussione, che anzi farà sfracelli ove qualcuno si permettesse di non
ottemperare alle regole di comportamento e rispetto nei suoi confronti, proprio
lui che è il primo a violarle senza alcun rimorso di coscienza.
L’importante è che dal pubblico provengano sempre e solo applausi e
approvazione: i fischi non sono ammessi, pena l’immediata cacciata dal teatro.

 

credits: www.pierandreapriolo.it