Roma 2 settembre 2022

A cura del dott. Marco Salerno

 

Ricordate quel capolavoro di Woody Allen, in cui il celebre regista e attore
newyorkese narrava le avventure tragicomiche di Leonard Zelig, l’uomo
camaleonte, capace di trasformarsi letteralmente, cambiando aspetto fisico, a
seconda di chi gli stava davanti?
Ma mentre nella commedia alleniana il malinconico protagonista cercava,
attraverso il travestimento-mutamento, di confondersi con gli altri, terrorizzato
all’idea di essere in qualche modo “riconosciuto”, identificato, finendo invece
paradossalmente suo malgrado per diventare una celebrità e, in fondo,
apprezzandone anche i vantaggi, il soggetto patologico affetto da narcisismo
adotta la strategia del camaleonte per conquistare le proprie vittime.

Nella fase iniziale, cosiddetta della idealizzazione, la seduzione da parte
dell’individuo narcisista per attrarre la vittima designata avviene proprio
tramite una attenta osservazione, atta ad “imitarla”, con lo scopo di
dimostrarle che prova le sue stesse emozioni, ha i suoi stessi interessi, insomma
che rappresenta la tanto agognata “anima gemella”.
Il narcisista annusa le sue prede prima di decidere se sono i soggetti adatti al
proprio disegno di conquista: se ne capta il bisogno (fino a quel momento
frustrato) di incontrare l’anima affine, ecco che si cala perfettamente nella parte.
Chiaramente è tutta una calcolata finzione ma. questo. chi cade nella rete, o
è in procinto di farlo, non lo sa o non lo intuisce, o sottovaluta i campanelli
d’allarme.

Perché, ad esempio, nel bombardamento iniziale che lo psicopatico mette in atto
nei confronti del partner, fatto di adulazione, finta empatia, roboanti (quanto
spesso prematuri) impegni per un futuro da trascorrere per sempre insieme (il
cosiddetto lovebombing), in realtà si nasconde una totale indifferenza
per l’altro (o l’altra): è tutto e solo finalizzato a farsi idealizzare dalla vittima
inconsapevole.
Anche mostrare delle insicurezze (ovviamente le stesse del partner) fa parte di
questa astuta e contorta strategia: serve al narcisista per indurre
compassione, ma non quella sana che induce gli esseri umani normali alla
solidarietà e al reciproco aiuto, bensì una forma di compatimento che porti alla
manipolazione e al controllo di chi la provi nei confronti del soggetto
psicopatico.

Altrettanto si dica degli apprezzamenti rivolti all’aspetto fisico del partner: si
tratta anche in questo caso di tattiche adulatorie atte ad essere ricambiati.
Insomma, quella dell’anima gemella, della definizione del partner come della
miglior persona mai incontrata fino a quel momento, del confronto costante con
i propri ex, sempre descritti come pazzi, isterici, bipolari, crudeli, gelosi (tutto il
contrario dell’attuale compagno o compagna), è semplicemente una trappola.
Il confronto con il proprio passato sentimentale è utilizzato dal narcisista come
forma di persuasione indiretta: attraverso la dettagliata descrizione dei
difetti e delle mancanze dei propri partner precedenti, lo psicopatico spinge
subdolamente la vittima a non ripetere quei comportamenti, anzi a sopportare
eventualmente, quando la “luna di miele” della fase seduttiva sarà
definitivamente archiviata in favore di quella dolorosa della demolizione,
qualsiasi abuso e prepotenza, o violenza psicologica, senza reagire per non
incrinare quell’idillio che la vittima s’illude ancora possa perdurare nella
relazione, benché questa sia ormai compromessa e avviata a una tragica
conclusione.

La vittima si trattiene, nel timore di esasperare il partner e di interrompere la
fase di idealizzazione, quando ancora veniva inondata dalle sue attenzioni, fin
troppo soffocanti, ma comunque lusinghiere per chi aveva atteso tanto a lungo il
principe azzurro.
Anzi, ove mai la vittima osasse reagire al comportamento improvvisamente
mutato (in peggio) del compagno, questi a sua volta minaccerebbe di andarsene,
di trovarsi un’altra (o un altro), inducendola a indietreggiare, a chiedere
perdono, ad autoflagellarsi ritenendosi colpevole per la fine del rapporto o la
messa in crisi della relazione.

Tutto ciò fa parte dell’addestramento cui il soggetto tossico sottopone la
preda, finalizzato a che questa lo metta al centro della propria vita,
spersonalizzandosi a suo vantaggio.
Il narcisista sonda il terreno attraverso i ricatti psicologici, i dispetti, i silenzi
improvvisi, le assenze: cerca di capire fino a dove può arrivare e, nella fase
distruttiva finale, può alternare (senza che vi sia alcun segnale di preavviso) il
bastone alla carota, ovvero può tornare parzialmente a quelle forme di blandizie
iniziali nel momento in cui si rende conto che la vittima potrebbe metterglisi
contro o, in qualche maniera, ribellarsi ai suoi gratuiti soprusi.
Questa altalena logora irrimediabilmente l’autostima della vittima, così
come pure le sottili forme di umiliazione che il narcisista talvolta mette in atto
davanti agli amici del partner, che abilmente dissimula stemperandone i toni
nella beffa, nello scherzo quasi goliardico.

Il soggetto psicopatico lavora come un ragno che tesse la sua tela soffocante,
attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello, distorcendo con destrezza la
realtà, inducendo chi si relaziona con lui a credere di non aver visto o subito ciò
che in verità ha visto e subito.
Sarà sempre in grado di far ricadere la colpa delle proprie azioni
sull’altro, ivi compreso il momento in cui la relazione arriverà al suo termine:
anche se sbugiardato, smascherato, il narcisista muoverà le sue accuse infondate
nei confronti del partner affinché la responsabilità della rottura non ricada mai
su di sé.
Il narcisista è abilissimo nel fingersi vittima a sua volta: lo fa con il
nuovo compagno (o compagna), nella fase iniziale della seduzione, raccontando
le tragiche evenienze dei rapporti precedenti, in cui si dipinge come il soggetto
vessato da infinite angherie e prevaricazioni; lo fa tessendo una velenosa rete di
pettegolezzi incrociati, in cui coinvolge vittime presenti, passate e future, amici
propri e del partner, godendo letteralmente dell’effetto che una simile strategia
produce sui vari soggetti coinvolti.
Tutto serve a prepararsi il terreno per una successiva avventura tossica, uscendo
puliti e innocenti dalla precedente.
Insomma, la destabilizzazione delle vittime, atta a non dare loro mai punti di
riferimento, a non farle mai sentire al sicuro, le triangolazioni continue,
escogitate fra i vari componenti del proprio mondo relazionale, servono al
narcisista patologico per conservare potere e controllo sugli altri, per
corrompere e distruggere le vite altrui, perché il soggetto tossico è uno scorpione
pronto sempre a colpire, una dopo l’altra, le proprie prede, per vincere
l’avvilente vuoto e l’invincibile tedio della sua miserabile esistenza.